Il grande Leccio – Lerecioni

Capo Farfa
LERECIONE. età 300-400 anni
Un’età improponibile. Quasi dispiace non poter elencare, tra i tanti pregi dello straordinario “Alberone”, quello dell’impossibile età che qualcuno vuole attribuirgli, cioè un’esistenza ultramillenaria. “1700 anni!” sussurra una voce. “Macché, sono almeno 2000!” si sente replicare. Dati assolutamente inattendibili, cifre improponibili ancor prima di iniziare qualsiasi discorso sulla pianta. Il fiabesco Leccio di Valle Gemma, in località Capo Farfa, può solo essere definito plurisecolare. Quale cifra si debba poi scrivere al posto di quel “pluri” è cosa estremamente ardua da definire: un tre, forse un quattro. D’altronde, gli stessi esperti di botanica stabiliscono, come limite massimo di vita per una quercia, cinque secoli. Escluso che la sua età posa contarsi in millenni, esistono elementi che la fanno ritenere pur sempre considerevole. Sono le parole della sua proprietaria, Anna Vanni, a lasciare intuire il rispettabile carico delle primavere che dovrebbero gravare sulle formidabili membra della pianta. I suoi rami, orizzontali e di lunghezza smisurata, poggiano su alcune colonne di cemento, fatte erigere dal nonno della signora Anna agli inizi degli anni Venti del secolo scorso, per impedire che essi potessero schiantarsi sotto il loro stesso peso. Una considerazione scaturisce naturale da questa notizia. Se novanta anni fa la pianta era divenuta tanto ampia e imponente da rendere necessarie quelle misure di salvaguardia, doveva essere, già allora, di età veneranda: non si ha bisogno di bastoni se non si è vecchi o malati. Il Leccio di Valle Gemma, di certo, malato non è, perciò…
L’esagerata valutazione dell’età dell’Alberone può essere derivata da una considerazione: i resti di mura, che si vedono sotto la pianta, sono di epoca romana e si pensa possano essere la tomba di Petronio Arbitro. Una deduzione un po’ semplificatrice potrebbe aver portato ad attribuire alla pianta la stessa collocazione temporale di essi. Tuttavia, anche se all’Alberone fa difetto quell’età bimillenaria che troppo generosamente gli era stata attribuita, esso possiede, esaltati, tutti quei requisiti che fanno di una pianta un autentico monumento naturale. Ma in definitiva: Chi è l’Alberone? Qualcuno lo chiama anche, romanescamente, l’Ercione (cioè “grosso elce”) e il nomignolo fornisce la misura della buona fama di cui la pianta gode nei dintorni. Provenendo da Roma, a circa venti chilometri da Rieti, la strada statale Salaria scollina uno spartiacque ed inizia un’agevole e lunga discesa verso il fondovalle del torrente Farfa. Mentre si percorre questa discesa, è sufficiente rivolgere lo sguardo verso la collina di fronte. L’Alberone è inconfondibile: la massa arborea più appariscente, quasi a mezza costa, sul fianco di quella collina, è la sua. D’inverno poi il risalto è ancora più netto, essendo esso quasi la sola pianta sempreverde su un pendio rivestito di alberi a foglia caduca. Ecco, perciò, evidenziato uno dei più grandi pregi di questa pianta: la posizione. Così visibile da grande distanza, essa condiziona la fisionomia dell’intero fianco del colle.
La posizione però assumerebbe scarso rilievo (d’altronde, essa è la stessa di tutti gli altri alberi dei dintorni), se non fosse il mezzo più idoneo per esaltare le due maggiori qualità dell’Alberone: dimensioni e bellezza fuori del comune. In merito alle dimensioni, va detto che non è la circonferenza del fusto il dato più appariscente, ma l’ampiezza della chioma. Stando alle attuali conoscenze, su tutto il territorio nazionale esisterebbe soltanto un esponente dello stesso genere che lo superi in ampiezza, il Leccio di Casa Nuova, a Montalcino, nel senese. Se la grandezza è un fatto inconfutabile, potendo basarsi su elementi obiettivi come le misure, più complesso è il discorso relativo alla bellezza. Questo è un dato del tutto soggettivo, ma l’Alberone cattura tutti con la straordinaria armonia delle sue forme: molto regolare e ben proporzionato il fusto, alla cui sommità partono, a raggiera, in orizzontale, numerosi lunghi rami che ricadono a forma di perfetto ombrello.
È estremamente problematico stilare delle classifiche che lasciano il tempo che trovano, anche perché difficilmente confutabili. Tuttavia, chi vorrà correre il rischio di redigerne una sui più significativi lecci d’Italia sotto il profilo di grandezza + bellezza + posizione, potrà collocare il grande Leccio di Valle Gemma (tenendosi largamente prudente) fra i primi cinque.
La storia. Non manca, infine, alla bellissima pianta anche una sua piccola storia. L’origine mitica vorrebbe, come già accennato, che essa sia nata assieme al muro sottostante. L’Alberone entra però ufficialmente nella storia con l’episodio di circa novanta anni fa, relativo alle colonne di cemento fatte apporre dall’allora proprietario. Un po’ discutibile, forse, il color ciclamino di cui vennero rivestite, un colore troppo artificiale e non in armonia con quelli naturali circostanti. Oggi il colore delle colonne è bianco. La ritinteggiatura si è resa necessaria a causa delle frequenti scritte che vi appaiono, lasciate dagli innamorati in transito e in sosta sotto la pianta. In passato sono state molto sfruttate la morfologia e l’ampiezza della chioma. Un tempo, sopra l’ampia piattaforma determinata dall’aprirsi dei rami, si era soliti apparecchiare e servire in tavola perfino per dodici persone.
Truppe tedesche in fase di ritirata, per la mimetizzazione di mezzi corazzati all’osservazione aerea alleata. L’Alberone ha avuto l’onore – e non poteva essere diversamente – di essere inserito dal Dottor Lucio Bortolotti fra i 300 alberi più rappresentativi del nostro Paese nel primo volume di “Alberi Monumentali d’Italia”, Edizioni Abete, 1989. Gli oltre venti anni trascorsi da allora, hanno purtroppo portato solo disgrazie al venerando
Leccione. A causa di due trombe d’aria abbattutesi sulla zona fra il 2000 e il 2005 sono stati stroncati due enormi rami del primo palco, due di quelli che poggiavano sulle colonne. Non solo, ma anche gli altri due rami che ancora poggiano sulle altre colonne si sono spezzati proprio in corrispondenza del punto di appoggio. In conseguenza di questa perdita, sul lato est dell’albero si è aperta nella chioma una finestra di una certa ampiezza, che lascia ampiamente penetrare la luce sotto la chioma stessa. A distanza di tanti anni dalla loro costruzione, si può chiaramente affermare che sono proprio le colonne la causa della rottura dei rami. In primo luogo, esse si trovano a una distanza troppo ridotta dal tronco sì che il peso dei rami, con il progressivo allungamento di essi, ha gravato sempre più dalla parte opposta al fusto; alla fine le colonne hanno fatto come da fulcro per agevolare la frattura. Inoltre, le stesse colonne hanno prodotto un effetto al quale va fatta direttamente risalire la causa della rottura.Ogni pianta, man mano che i rami si allungano, fa sviluppare nella parte inferiore dei rami, nelpunto di inserzione al fusto, dei contrafforti legnosi che servono, appunto, per sostenere i rami stessi. Significativo l’esempio, a questo proposito, del Cerro dei Cento Rami, in provincia di Firenze, il quale, pur dotato di fusto di appena 3,70 metri di circonferenza, riesce a sostenere, grazie a questo espediente, dei rami che si allungano di ben 18 metri in ogni direzione. La presenza delle colonne ha fatto sì che la pianta non si sentisse sollecitata a costruirsi queste strutture di sostegno. È, in pratica, quanto avverrebbe ad un bambino il quale, per impedirgli di cadere, venisse abituato fin da piccolo a sostenersi con delle stampelle: ovviamente, i muscoli delle gambe si atrofizzerebbero. Nonostante queste disavventure, non si intravedono pericoli immediati, se non quelli derivanti dalla frequenza degli occasionali visitatori.
L’enorme valore monumentale della pianta è stato sempre apprezzato, in ogni epoca, sia dal Comune di Poggio San Lorenzo che dai proprietari. La signora Anna Vanni è quasi disperata per la notizie dei danni subiti dal Leccione e si interroga quasi con angoscia sui possibili provvedimenti da adottare, per consegnare ancora integro il suo Alberone alle generazioni future. Un suggerimento che le si potrebbe dare, per rimediare almeno in parte al danno, è quello di far spostare le colonne posizionandole molto più verso la periferia dei rami.
Fonte Valido Capodarca

Immagini gentilmente concesse da www.laziodavivere.it